“Se ci fosse, dicevan gli esperti, un’ombra di rivendicazione nei loro piagnistei, sarebbe quella dell’integrazione. Mica accordarla, beninteso: si sarebbe rovinato il sistema che poggia, come sapete, sul super sfruttamento. Ma basterà – dicevano – tener loro davanti agli occhi quella carota: galopperanno”.

Così scriveva Jean-Paul Sartre nel 1961 nella Prefazione a I dannati della terra di Frantz Fanon, testo cardine del movimento di decolonizzazione di quegli anni.

Pensiero quanto mai di attualità quello del filosofo e scrittore francese, se solo si pensa a quanto avviene nella nostra Europa neoliberista che da un lato parla di integrazione e accoglienza, dall’altro studia piani per limitare l’afflusso di immigrati e progetta la costruzione di muri, in un processo che probabilmente Fanon avrebbe descritto come schizofrenico ma che in realtà risponde a logiche economiche ben precise.

Pensiero di grandissima attualità anche guardando a quanto accade in una città di medie dimensioni come la mia Pescara. Nella notte tra martedì e mercoledì l’amministrazione comunale di centrosinistra ha disposto lo sgombero per il cosiddetto mercatino etnico senegalese della stazione centrale.

Una vicenda emblematica del pensiero sartriano riportato in apertura, nata male, gestita malissimo e finita peggio.

Il mercatino ha infatti una storia ormai ventennale quando a metà anni ‘90 fu installato in quella che viene chiamata “area di risulta” e che non è altro che l’area della vecchia stazione centrale. Sistemazione già allora provvisoria, resa ancor più provvisoria ad inizio anni 2000 quando fu spostato dal Comune stesso nell’area nel quale è stato sgomberat0 martedì notte con la promessa di trovare una sistemazione definitiva che ovviamente non è mai arrivata.

Nel frattempo, e non è cosa secondaria, i rappresentanti della comunità senegalese hanno sempre chiesto di essere messi in regola e di avere una sistemazione più dignitosa incontrando vaghe promesse da parte del Comune.

Così si è arrivati a martedì notte quando il sindaco ha firmato l’ordinanza di sgombero sotto pressione (a suo dire) di questura e prefettura. Sgombero che è avvenuto nella notte con un dispiegamento di uomini degno della cattura dei peggiori boss mafiosi (300 agenti tra polizia, carabinieri e guardia di finanza), blindando due terzi dell’area e distruggendo tutto con le ruspe, invocando il nome della legalità e del decoro (e quanto tornano in mente le riflessioni di Giorgio Agamben in Homo Sacer sulla vacanza della legge nello stato di emergenza eretto a normalità).

Quella legalità e quel decoro che il Comune stesso ha ignorato per anni chiudendo la comunità senegalese in un vero e proprio ghetto, contrariamente alle richieste che la comunità stessa da anni andava facendo.

Tutto questo perpetuato da un’amministrazione di centrosinistra che, prima per mesi ha promesso una sistemazione definitiva e regolare senza trovarla, poi ha mostrato i muscoli additando alla cittadinanza i senegalesi come fulcro di ogni attività illecita in città.

Non è peregrino ricordare che molti di quelli che oggi urlano alla difesa di decoro e legalità non più di quattro anni fa erano nello stesso mercatino (all’epoca evidentemente non illegale) a invocare integrazione e accoglienza per i senegalesi contro un presidio Forza Nuova che voleva smantellare a modo suo le bancarelle. La stessa Forza Nuova che oggi plaude e rivendica come proprio successo l’operazione di sgombero.

Ed ecco che torna il pensiero sartriano: a parole si agita la carota dell’integrazione finché questa non mette in discussione gli interessi economici in ballo, allora arriva il bastone a ricordare chi, per dirla ancora con Fanon, sono i bianchi e chi i neri.

Marcello Goussot