Stiamo vivendo un momento di crisi; lo vediamo nell’ambiente, ma soprattutto lo vediamo nell’uomo. Il pericolo è grave perché la causa del problema non è superficiale, ma profonda: non è solo una questione di economia, ma di etica e di antropologia.

Chi comanda oggi non è l’uomo, è il denaro. Sono i soldi che comandano. Uomini e donne vengono sacrificati agli idoli del profitto e del consumo, questa è la “cultura dello scarto”. Se si rompe un computer è una tragedia, ma la povertà, i bisogni, i drammi di tante persone finiscono per entrare nella normalità. Se una notte di inverno, in una nostra via muore una persona, non è notizia. Se in tante parti del mondo ci sono bambini che non hanno da mangiare, non è notizia. Tutto sembra normale. Non può essere così! Eppure queste cose entrano nella normalità: che alcune persone senza tetto muoiano di freddo per la strada non fa notizia. Al contrario, un abbassamento di dieci punti nelle borse di alcune città, costituisce una tragedia. Così le persone vengono scartate, come se fossero rifiuti.

Questa “cultura dello scarto” tende a diventare mentalità comune che contagia tutti. La vita umana, la persona non sono più sentite come valore primario da rispettare e tutelare, specie se è povera o disabile, se non serve ancora – come il nascituro –, o non serve più – come l’anziano. Questa cultura dello scarto ci ha resi insensibili anche agli sprechi e agli scarti alimentari, che sono ancora più deprecabili quando in ogni parte del mondo, purtroppo, molte persone e famiglie soffrono fame e malnutrizione. Una volta i nostri nonni erano molto attenti a non gettare nulla del cibo avanzato. Il consumismo ci ha indotti ad abituarci al superfluo e allo spreco quotidiano di cibo, al quale talvolta non siamo più in grado di dare il giusto valore, che va ben al di là dei meri parametri economici. Ricordiamo bene, però, che il cibo che si butta via è come se venisse rubato dalla mensa di chi è povero, di chi ha fame!

Quando stiamo bene e ci sentiamo comodi, ci dimentichiamo degli altri, non ci interessano i loro problemi, le loro sofferenze e le ingiustizie che subiscono… allora il nostro cuore cade nell’indifferenza: mentre io sto relativamente bene e comodo, mi dimentico di quelli che non stanno bene. Questa attitudine egoistica, di indifferenza, ha preso oggi una dimensione mondiale, a tal punto che possiamo parlare di una globalizzazione dell’indifferenza.

Lo spirito individualista è terreno fertile per il maturare di quel senso di indifferenza verso l’altro, ci porta a trattarlo come mero oggetto di compravendita, ci spinge a disinteressarci delle nostre comunità e dell’umanità degli altri e finisce per renderci persone pavide e ciniche. Non sono forse questi i sentimenti che spesso abbiamo di fronte ai poveri, agli emarginati, agli ultimi della società? E quanti ultimi abbiamo nelle nostre società! Tra questi penso, ad esempio, ai migranti, con il loro carico di difficoltà e sofferenze, che affrontano ogni giorno nella ricerca, talvolta disperata, di un luogo ove vivere in pace e con dignità.

I migranti sono nostri fratelli e sorelle che cercano una vita migliore lontano dalla povertà, dalla fame, dallo sfruttamento e dall’ingiusta distribuzione delle risorse del pianeta, che equamente dovrebbero essere divise tra tutti. Non è forse desiderio di ciascuno quello di migliorare le proprie condizioni di vita e ottenere un onesto e legittimo benessere da condividere con i propri cari?

Parole dal Basso nasce per cercare di offrire un’alternativa possibile alla mentalità dello scarto e dell’indifferenza che rischia di contagiarci tutti.