Lo spazio si organizza come spazio circolare; il cerchio, ma anche il tenersi per mano, il dire qualcosa oppure anche l’abbracciarsi. Lo spazio qui funziona come spazio comunicativo transizionale, per usare una espressione di Donald Winnicott, cioè con uno spazio che produce calore e affettività. I ragazzi presenti sono Paolo, Betta, Marco, Sauro, Elena, Giancarlo, Massimo: oltre a loro vi sono Andrea e Dorella. Isabella e Claudio sono presenti con Gillian. Gillian saluta tutti, chiede di tenersi per mano: l’importanza del contatto; il calore del contatto con l’altro. Mi fa pensare subito a quello che il grande psicopatologo fenomenologo francese Eugène Minkowski affermava: “Il contatto, costruire il contatto con l’altro è la prima cosa per entrare in relazione“.

Oltre il contatto con il tenersi per mano nel cerchio vi sono i primi movimenti: alzare le mani e muovere il diaframma con lunghi respiri. Braccia, movimento e respiro: sono momenti importanti per animare il corpo, iniziare ad ascoltarlo, farlo respirare, scoprire che la sua animazione è centrale nel ‘riscaldare’ l’armonia dell’anima. Qui pensavo anche ad Alexandre Lowen e il suo approccio bioenergetico: il flusso di energia che passa nel respiro e nei movimenti del corpo, di un corpo ‘piantato’ per terra. Il contatto tra terra e aria attraverso la mediazione di un corpo vivo. La maggior parte delle persone disabili, ma anche di quelle che non lo sono, non sentono più questo flusso di energia che fa del corpo l’elemento di congiunzione tra le forze della natura terrena e quella dell’universo tutto. Il corpo è spesso vissuto come qualcosa d’altro; come qualcosa di estraneo a noi stessi; ce ne difendiamo, ci difendiamo delle percezioni che provoca in noi. Il corpo è spesso un corpo ‘estraneo’, non vissuto, o vissuto come luogo unilaterale di dolore e di piacere.

Studio-performance LsM alla Casa del Teatro e della Danza

Tra dolore e piacere non esiste lo spazio della sua vita, della nostra vita, fatta di impressioni, intelligenza corporea e sentimenti che accompagnano le vibrazioni del movimento, del respiro e della danza che si fa musica prima ancora di essere accompagnato dalla musica stessa. Come diceva Maurice Merleau Ponty, nella sua ‘fenomenologia della percezione‘, il corpo vissuto non coincide necessariamente con il corpo oggettivo, con lo schema corporeo, il corpo vissuto ha la memoria delle immagini accumulate e registrate nel corso dell’esperienza di vita. Una esperienza fatta di deprivazioni emozionali e affettive che trasforma spesso il corpo in un luogo del dolore e in una zattera di tutti i meccanismi di difesa di fronte ad una vicenda umana che ferisce l’anima. L’attività del movimento accompagnato dal respiro e dal contatto con l’altro può liberare le energie di un corpo depresso e bloccato esattamente come l’anima poiché come diceva giustamente SpinozaCorpo e anima sono un unicum, una sostanza unica“.

All’inizio i movimenti sono rigidi; Paolo viene aiutato a stare seduto e ad alzare le braccia, Sauro si sdraia ma sembra immobile; Gillian massaggia la pianta dei piedi; si sente un fondo musicale che batte il ritmo e il respiro di ognuno. Gillian dice massaggiando la pianta dei piedi, invitando ognuno a muovere i piedi, che “quando si respira si cresce“. Respirare, sdraiarsi e rilassarsi: Sauro guarda un po’ sorpreso, tenta di comprendere quello che succede. Cambiano i motivi musicali. Lo spazio diventa un spazio che respira al ritmo dei corpi e della musica; i movimenti sono lenti: stendersi, respirare e muoversi con armonia, ognuno a seconda delle proprie capacità. Paolo è abbracciato ad Andrea; lo spazio si delinea come uno ‘spazio respiratorio’; il gioco dei gesti, delle braccia, dei corpi si combina con quello degli sguardi; le posture sono linguaggi, sono codici comunicativi. Tutti si muovono insieme individualmente e collettivamente; vi è spazio per la singolarità espressiva ma quello che appare come qualcosa di caotico dove ognuno sembra andare per conto suo diventa alla lunga un momento comune. Le braccia s’incrociano e cercano, alzandosi insieme all’unisono, di prendere qualcosa insieme. Gillian sa ‘covare il caos’, mi viene questa espressione utilizzata da un grande psicopedagogista francese di origine spagnola François Tosquelles che lavorò molto con i ‘deboli mentali’ sottolineando quanto la spontaneità espressiva possa essere accompagnata nello strutturare delle competenze.

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La musica passa da uno sfondo classico (Mozart) ad una musica più vivace (Inti-Illimani); la ritmica dei gesti e dei movimenti individuali e collettivi viene accompagnata dalla parola ‘libertà’ ripetuta nel sottofondo del brano musicale. Ci si sposta seduti con l’aiuto delle braccia in un movimento che sembra di qualcuno che sta sciando oppure che sta remando. Il movimento delle braccia viene anche accompagnato dal rumore delle mani che vengono battute in modo ritmico. Poi i movimenti del corpo su e giù con larghi respiri e giri del corpo su sé stesso. Sauro che sembrava immobile si sta attivando; ci si muove anche a gattone. La musica cambia di nuovo e si passa ad un pezzo di concerto per violini; movimenti, gesti e spostamenti ridiventano lenti. Il pezzo musicale è un allegro di Mozart; Giancarlo si muove e fa vedere ad Elena come deve fare; Paolo si muove; Betta si avvicina a Sauro e l’aiuta ad alzare le braccia. Si forma un cerchio che gira; si sentono i suoni della musica e dei corpi che si spostano con leggerezza; il cerchio si apre e si restringe come un respiro; Sauro è un po’ in disparte ma vuole partecipare e dice: “E Io?”. Ci si sdraia per terra per prendere possesso dello spazio: la nozione di spazio è fondamentale poiché è insieme mentale, emotivo e affettivo; Gillian fa vedere il movimento di qualcuno che tocca un oggetto che scotta; viene imitata. Ad un certo punto lo spazio viene sperimentato e vissuto attraverso il movimento in coppia: di nuovo il contatto, il calore, il rapporto con l’altro e con sé stesso; si passeggia insieme nello spazio. Sembra un gesto di amicizia o anche di flirt. Ci si muove con gioia ma vi è anche chi lo fa con rabbia; Paolo sorride mentre osserva muoversi Gillian e tenta di muovere a sua volta le braccia. All’inizio tutti sembravano un po’ spaesati: piano piano si muovono e capiscono il linguaggio ricco del corpo e la relazione tra corpo, respiro, possesso dello spazio che è prima di tutto spazio emozionale, spazio che diventa anche mentale creando immagini che formano abilità e competenze relazionali. Gillian dice: “Adesso i nostri corpi sono pronti a fare una costruzione“; una scultura con i corpi che si toccano, si legano intorno a Paolo; ognuno è legato a Paolo ed agli altri, ognuno si sente parte di un tutto. Mi viene in mente una frase di James Hillman: “Di tutti i peccati della psicologia, il più mortale è la sua indifferenza per la bellezza. Una vita, in fondo, è una cosa bella. Ma, leggendo i libri di psicologia, non lo si immaginerebbe“.

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Invece vedendo muoversi Gillian e i ragazzi si materializza la costruzione individuale e collettiva di uno spazio dove la bellezza dell’armonia dei gesti combinati con il respiro e la musica fa vibrare l’anima di ognuno. In fondo il potersi esprimere in uno spazio che permette di sciogliere le rigidità della vita, quelle rigidità penetrate nella struttura interiore; rigidità che impediscono il respiro e l’espressione della vita, vuol dire, per un momento riconnettersi allo ‘slancio vitale’ presente in ogni essere umano con o senza deficit o disabilità; quello slancio di vita che integra memoria del corpo, intelligenza, cuore e spirito; che rende reale la vita dell’anima di cui parlava il filosofo francese Henri Bergson. Nell’attività svolta vi è anche la gestione dello spazio come temporalità; non dimentichiamo che il tempo è, come il corpo, un tempo vissuto e non solo cronologico (per riprendere un ragionamento di Minkowski); un tempo fatto di immagini mentali, impressioni, emozioni, esperienze che lasciano traccia a livello percettivo.

Lo spazio danzante è uno spazio che favorisce la presa di possesso del tempo, del proprio tempo di vita. Cose che molti di noi non sanno più fare; ancora meno persone disabili la cui vita è in mano ad altri. Aggiungo anche una cosa, il metodo è un antimetodo e questo lascia molto spazio alla creatività, all’inventività e all’innovazione: quando un metodo viene codificato e definito rischia spesso di cristallizzarsi in un dogma rigido che bisogna applicare meccanicamente.

In ambito terapeutico e pedagogico l’assolutizzare i metodi ha prodotto una logica settaria e chiusa che esclude ogni forma di fecondazione e contaminazione con la vita viva che è in continua evoluzione.

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Mi piace il lato esperienziale e aperto della pratica di Gillian.

Le parole chiavi che mi vengono dopo questa sperimentazione, parole non astratte ma vive come è stata viva l’esperienza, sono:

– codici comunicativi plurimi

– corpo vissuto

– ascolto

– linguaggio del corpo

– percezione

– contatto

– relazione

– slancio vitale

– energia

– spazio mentale

– movimento

– danza

– musica

– armonia

– leggerezza

– rilassamento

– circolarità

– libertà

– intuizione

– tempo vissuto

– ricerca

– rilassamento

– sorpresa

– gioia

– antimetodo

Si potrebbe riflettere su queste parole, pensare ad un lavoro di riflessione sul metodo come antimetodo che vede la persona nella sua globalità, nel suo carattere unitario e dinamico complesso. Un approccio insieme psico-relazionale, psico-motorio-corporeo, culturale e emozionale che si pone dal punto di vista della vita profonda dell’antropos. Si tratta anche di vedere come questa attività possa aiutare le persone a riattivare il loro potenziale di vita, acquisire abilità e competenze che possono trasferire nella vita sociale e di relazione quotidiana.

Alain Goussot, Docente di pedagogia speciale presso l’Università di Bologna, pedagogista, educatore, filosofo e storico, autore di numerosi libri, fondatore di questo blog, è scomparso improvvisamente il 26 marzo.