Ogni viaggio è una narrazione formata da incontri, episodi, particolari, panorami, tanto differenti quanto simili. Puoi girare i Paesi più diversi e scoprire che le speranze, le preoccupazioni, i sogni delle persone – seppur fisicamente così lontane e diverse – sono molto simili. In ogni territorio trovi il potente di turno pronto, in maniera più o meno velata, a sfruttare i deboli. Presto ti accorgi che non esiste luogo che non abbia scorci bellissimi.

Non fa eccezione l’Albania. Terra di tradizioni e contraddizioni.

Sin dall’epoca della divisione dell’impero romano in occidentale e orientale, i confini tra Oriente e Occidente tagliavano l’Albania. Questa divisione è continuata nel Medioevo e anche sotto la dominazione ottomana. L’Albania, una nazione all’incrocio fra Est e Ovest, regione di collegamento tra i Balcani e l’Italia, anello debole tra mondo greco e latino, tra mondo slavo e islamico.

Un popolo più guerriero che religioso, avrebbero detto gli antichi. Si può dire che la vera religione degli albanesi era, e forse lo è ancora oggi, la fierezza, la lealtà alla parola data, il senso dell’onore, l’attaccamento alle tradizioni, insomma una religione del carattere e del temperamento.

La questione nazionale, l’indipendenza del paese, ha permeato qualsiasi manifestazione della vita albanese dalla metà dell’Ottocento in poi.

È in questo quadro che la Diocesi di Rimini è sbarcata in terra schipetara nel 1993 e questa è stata la meta delle nostre ferie.

Il centro storico di Berat è stato aggiunto al patrimonio dell’UNESCO come “raro esempio di città ottomana ben conservata”. Berat dimostra la pacifica convivenza di varie religioni nei secoli passati.
All’interno della città si trova il castello di Kala, alcune delle sue parti risalgono addirittura al IV secolo. Numerose chiese bizantine duecentesche si trovano nella cittadella. Oltre a queste chiese si possono trovare moschee erette a partire dal 1417, con l’inizio dell’era ottomana. Alcuni edifici religiosi sono stati usati dai Sufi nel corso del XVIII secolo.

Siamo stati ospitati in un appartamentino nel centro pastorale di Berat nel quartiere Rom.

Abbiamo cercato di condividere, il più possibile, la vita del missionario don Giuseppe Tosi e dei fratelli e sorelle della Piccola Famiglia dell’Assunta di Montetauro cui è affidata, in questo momento la missione.

Una giornata impegnativa: inizia poco dopo le 5 con il mattutino e, scandita dalla preghiera, si divide tra i tanti impegni di evangelizzazione, dopo scuola, centro diurno, consegna dei pacchi ai bisognosi, ascolto. Insieme a loro anche i “figli” affidati.

Tante le persone che abbiamo incontrato.

Sono proprie queste persone, i loro sguardi, i loro gesti, il tentativo di comunicare con una lingua per noi incomprensibile, le loro baracche, i loro sorrisi che portiamo incisi nel cuore.

Quando si rientra a casa, in Italia, non si può far finta di nulla. Qualcosa è successo. Qualcosa è cambiato. Il nostro stile di vita ci interroga. Si prova imbarazzo di fronte a quello che qui consideriamo indispensabile ma che, in Albania, avevamo dimenticato completamente.

Bastano poche ore e siamo travolti da una quotidianità che ci trascina, come un fiume in piena, da impegno ad impegno, da appuntamento ad appuntamento. Lo spazio per gli amici deve essere inserito in agenda.

Eppure in Albania non c’era mancato niente anzi, … siamo stati benissimo, speso con una persona appena conosciuta, ci siamo lasciati rapire da un panorama, abbiamo meditato senza il bisogno di controllare l’orologio.

Per stare bene, veramente bene, basta molto poco.
E se questo fosse la risposta alla crisi e a questo modello di sviluppo?