Un microrganismo ci obbliga a confrontarci con la nostra fragilità. Siamo bloccati dalla paura da uno degli esseri più piccoli dell’universo, intrappolati dallo spavento e dall’incertezza. Una particella invisibile ha fatto crollare le nostre impalcature.
Siamo abituati a dar sfoggio dei nostri muscoli, a dimostrare la nostra forza, oggi dobbiamo fare i conti con la nostra impotenza.
Non è certo la prima volta che dobbiamo confrontarci con importanti epidemie (1947, 1976, 1977) o con pandemie (Spagnola, Asiatica, Hong Kong), è la prima volta che lo facciamo all’epoca dei social network.
Stiamo assistendo al consueto diffondersi, anch’esso virale, delle fake news, alla mancanza di fiducia negli esperti, rimpiazzata dalle immancabili critiche e granitiche certezze che ognuno ha su quello che si sarebbe dovuto fare e non si è fatto e viceversa.
La politica sta mostrando tutta la sua debolezza e inadeguatezza.
Il numero dei contagiati e dei morti, apparentemente basso, mette a nudo la nostra isteria e le nostre fobie. In un batter d’occhio abbiamo levato le maschere e, indossando mascherine, mostriamo il nostro vero volto, più umano e più fragile.
Nonostante abbiamo a disposizione più mezzi, più tecnologia, più informazioni rispetto al passato, ci sentiamo meno protetti, più indifesi e insicuri.
Stiamo mostrando la nostra vulnerabilità di fronte ad un piccolo virus, ignaro e incurante di confini regolati da trattati, demarcati da limiti geografici e persino da muri, sprezzante di bellezze artistiche, realtà produttive, feste e tradizioni, rapporti sociali fa quello che un virus fa per sua natura, girare il mondo intero come il vento.
In questa lotta impari tra Davide e Golia a parti invertite, siamo costretti a fermarci, impossibile pensarci fino a ieri schiavi dei ritmi forsennati dettati dalla società. Grazie a questo stop forzato stiamo riscoprendo la gioia della lettura, la bellezza dell’amicizia, il gusto di una passeggiata solitaria, ma anche le preoccupazioni per un’economia gracile, orientata anch’essa più alla velocità e alla competitività che alla comunità e alla sostenibilità.
Tempo libero inaspettato. Tempo utile, se sappiamo valorizzarlo.
Arrestarci questo ci viene chiesto: il virus lo sconfiggiamo prima se rallentiamo, o meglio sospendiamo, i nostri spostamenti perché il virus lo trasportiamo noi, poco importa se ricchi o poveri, giovani o anziani, uomini e donne.
COVID-19 ignora le differenze, per lui siamo tutti uguali!
Forse l’ha imparato dalla nostra Costituzione: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. “Uguali davanti la legge e ai virus“.
Proprio noi, che abbiamo edificato muri e barriere per tenere lontano presunti invasori, siamo diventati coloro che nessuno vuole, gli untori, i reietti, … i respinti.
È bastato un piccolo virus a far dissolvere le nostre granitiche certezze come neve al sole. L’altro ora siamo noi. Siamo noi i migranti che nessuno vuole, siamo noi che veniamo respinti alle frontiere, scansati negli aeroporti, rifiutati nei resort. Una situazione nuova che sa di antico: c’erano già passati i nostri nonni e bisnonni quando avevano cercato fortuna all’estero.
Ma è in questi momenti difficili che come popolo sappiamo dare il meglio di noi, dimostrando concretamente altruismo e solidarietà, caparbietà e tenacia, capacità di non rassegnarci e spirito di sacrificio… insomma il nostro splendido cuore italiano capace sempre e comunque di sperare.
Questi giorni convulsi passeranno, speriamo prima possibile. Ci lasceranno lutti e perdite.
Facciamo tesoro dall’esperienza di comunità che forzatamente stiamo vivendo, facciamo tesoro di questa sosta obbligata per recuperare le giuste energie vitali per sognare e pensare al futuro nostro e della nostra Casa Comune, magari riflettendo sulle parole che Papa Francesco ci ha consegnato nel suo messaggio di Quaresima:
“Anche oggi è importante richiamare gli uomini e le donne di buona volontà alla condivisione dei propri beni con i più bisognosi attraverso l’elemosina, come forma di partecipazione personale all’edificazione di un mondo più equo. La condivisione nella carità rende l’uomo più umano; l’accumulare rischia di abbrutirlo, chiudendolo nel proprio egoismo. Possiamo e dobbiamo spingerci anche oltre, considerando le dimensioni strutturali dell’economia. Per questo motivo, nella Quaresima del 2020, dal 26 al 28 marzo, ho convocato ad Assisi giovani economisti, imprenditori e change-makers, con l’obiettivo di contribuire a delineare un’economia più giusta e inclusiva di quella attuale.”
Contagiamoci di speranza, insieme possiamo cambiare, dobbiamo farlo perché l’altro siamo noi, l’altro sono io.